SCOMPENSO CARDIACO

Il management del progetto

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Lo scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata, o scompenso diastolico (SD), è una patologia in continuo aumento nel mondo occidentale, grazie anche all’invecchiamento della popolazione e alla maggior diffusione dei fattori di rischio come il diabete e l’obesità legati a uno stile di vita scorretto.

     A differenza dello scompenso cardiaco con ridotta funzione sistolica, che si caratterizza fondamentalmente per un’insufficienza di pompa del muscolo cardiaco, la fisiopatologia dello SD è più articolata e tuttora dibattuta. Si può considerare come una sindrome complessa, in cui il cuore non è in grado di fornire ossigeno ai tessuti in maniera adeguata alle loro necessità metaboliche, se non a discapito di elevate pressioni di riempimento del ventricolo sinistro. Nella patogenesi entrano in gioco una serie di fattori di rischio e di comorbidità che interagiscono tra loro in modo sinergico, andando a creare uno stato infiammatorio a livello del miocardio che porta ad un aumento della rigidità del ventricolo sinistro, ostacolandone il rilasciamento e di conseguenza il riempimento. I fattori di rischio principali sono l’ipertensione arteriosa, l’età avanzata ed anche il sesso femminile, seguiti da obesità, diabete, fibrillazione atriale e coronaropatia. Altre comorbidità che si associano a un maggior rischio di SD sono l’insufficienza renale, la dislipidemia, la broncopneumopatia cronico ostruttiva, le apnee del sonno, l’artrite reumatoide e le malattie infiammatorie sistemiche.

     La storia naturale dello SD prevede in genere una lunga fase subclinica, in cui il paziente è asintomatico, ma è possibile individuare all’ecocardiogramma la presenza di ipertrofia del ventricolo sinistro e di disfunzione diastolica. È possibile inoltre determinare già nelle fasi iniziali della malattia alterazioni a livello dei biomarcatori ematici, in particolare un aumento del peptide natriuretico cerebrale (BNP). Il BNP è inoltre utile per monitorare l’andamento della patologia nel tempo e la risposta alla terapia.

     I sintomi più precoci sono tipicamente rappresentati da una scarsa tolleranza all’esercizio, che si manifesta come dispnea da sforzo. Con il progredire della malattia possono manifestarsi anche edemi declivi, dispnea a riposo ed episodi di scompenso acuto e di edema polmonare acuto.

Lo SD è una patologia molto diffusa nella popolazione generale, con una prevalenza che aumenta con l’età e che raggiunge il 10% negli ultraottantenni1. Lo scompenso cardiaco, sia esso diastolico o con ridotta funzione sistolica, rappresenta una delle maggiori cause o concause di morte nella popolazione occidentale. Nonostante che negli ultimi anni gli sforzi della ricerca scientifica siano riusciti ad ottenere un miglioramento nella prognosi dello scompenso cardiaco sistolico, la mortalità e i tassi di ospedalizzazione dello SD rimangono tuttora invariati. La mortalità per tutte le cause nei pazienti con disfunzione diastolica lieve si attesta intorno al 10% (con un aumento del rischio di 8,31 volte rispetto ai soggetti sani), mentre supera il 20% quando la disfunzione diventa moderata o severa (hazard ratio 10,17)2.

È ormai noto che lo SD sia un fenomeno destinato ad aumentare di importanza nei prossimi anni. Un dato interessante è l’impatto che questa patologia sta assumendo sul sistema sanitario di varie regioni dell’Africa, in cui si osserva un adattamento allo stile di vita occidentale (vita sedentaria, alimentazione ricca di sale e diffusione dei fast food, con aumento della prevalenza d’ipertensione e obesità), nonostante in tali zone sia ancora poco frequente la patologia coronarica3. Le proiezioni dell’American Heart Association’s Heart Disease and Stroke Statistics prevedono un aumento di quasi il 120% del costo totale della gestione dello SD  negli Stati Uniti nel 2030 rispetto al 2013 (da 32 a 70 miliardi di dollari)4.

Date le dimensioni del problema e le previsioni di crescita nel futuro, diventa fondamentale riuscire a individuare precocemente sul territorio i soggetti con sostanziale predisposizione e sviluppare SD, tra i quali l’inizio dei sintomi può essere acuto e il deterioramento clinico improvviso, per poterli indirizzare verso una diagnosi precoce e di conseguenza verso l’avvio di una terapia specifica, basata fondamentalmente sul controllo della pressione arteriosa (tramite ACE inibitori, sartanici, calcio antagonisti e betabloccanti) e sull’utilizzo di diuretici per ridurre il sovraccarico di fluidi. Si è visto come il trattamento dell’ipertensione riduca notevolmente il rischio di sviluppare scompenso cardiaco, come dimostrato da una metanalisi francese che riportava una riduzione d’incidenza di scompenso del 39% nei pazienti con più di 80 anni5. È stato altresì dimostrato come l’aderenza a uno stile di vita salutare (normale peso corporeo, astinenza dal fumo, esercizio fisico regolare, alimentazione sana) possa dimezzare il rischio di scompenso cardiaco6.

Bibliografia

  1. Andersson C, Vasan RS. Epidemiology of heart failure with preserved ejection fraction. Heart Fail Clin. 2014; 10; 377-88.
  2. Redfield MM, Jacobsen SJ, Burnett JC Jr, Mahoney DW, Bailey KR, Rodeheffer RJ. Burden of systolic and diastolic ventricular dysfunction in the community: appreciating the scope of the heart failure epidemic. 2003 Jan 8; 289(2): 194-202.
  3. Ntusi NB, Mayosi BM. Epidemiology of heart failure in sub-Saharan Africa. Expert Rev Cardiovasc Ther 2009;7: 169–80.
  4. Go AS, Mozaffarian D, Roger VL, et al. Executive summary: heart disease and stroke statistics– 2013 update: a report from the American Heart Association. Circulation 2013; 127: 143–52.
  5. Gueyffier F, Bulpitt C, Boissel JP, et al. Antihypertensive drugs in very old people: a subgroup meta-analysis of randomised controlled trials. INDANA Group. Lancet 1999; 353:793.
  6. Djoussé L, Driver JA, Gaziano JM. Relation between modifiable lifestyle factors and lifetime risk of heart failure. JAMA 2009; 302:394.

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